PROSPETTIVE DI PREVENZIONE
In ogni intervento medico l’obiettivo principe è la guarigione del malato ma per alcune malattie e fra queste in primo luogo le neoplasie non potendo questo obiettivo essere raggiunto per un cospicuo numero di pazienti si è cercato in questi ultimi 30 anni di affiancare alla terapia altri interventi con lo scopo di modificare la storia naturale di alcune neoplasie anticipando la diagnosi e dall’altra scoprire le cause che provocano i tumori e cercare di abolirle per limitare il numero della persone che verranno colpite dal tumore.
Alle soglie del 2000 è oramai tempo di valutazioni obiettive dei vari interventi .
La prima valutazione è che purtroppo i tumori ancora oggi registrano un aumento e un’indagine svolta da ricercatori americani lo hanno anche quantificato. Si è visto infatti che in questi ultimi 20 anno l’aumento è stato del 25% di cui il 15% per un aumento della vita media e un 10 % per un aumento reale.
Ciò sta ad indicare che i notevoli successi terapeutici sono inferiori alle cause che provocano l’insorgenza dei tumori.
Il problema terapeutico comunque, è affrontato in tutto il mondo con molto impegno sia economico che di professionalità ma la soluzione non è facile in quanto bisognerà scoprire prima di ogni cosa l’intimo meccanismo che altera l’armonia e la crescita della cellula normale ma soprattutto che il termine di tumore non ci riferiamo ad una singola patologia, bensì ad un centinaio di malattie diverse fra loro sia per le cause che li determinano sia per la risposta alla terapia sia per la prognosi.
La riprova di quanto ho detto è che oggi esistono dei tumori che guariscono altri per i quali la terapia ha migliorato la sopravvivenza altri infine refrattari a qualsiasi intervento terapeutico.
Anche la prevenzione secondaria o diagnosi precoce è oggetto di revisione critica da parte degli epidemiologi.
In effetti quando una popolazione di soggetti viene sottoposta ad un test diagnostico per una neoplasia si osservano tre fenomeni:
1) Il numero di soggetti in cui viene diagnosticata la neoplasia è superiore rispetto
all’incidenza attesa in quella popolazione; dopo di che l’incidenza mostra una brusca diminuzione per poi risalire lentamente e raggiungere di solito nel giro di qualche anno, i valori precedenti l’introduzione del test diagnostico.
2) La distribuzione per stadi delle popolazioni diagnosticate è nettamente più favorevole rispetto a quella precedente o a quelle osservate in altre popolazioni.
3) La sopravvivenza dei casi diagnosticati nell’ambito di questo intervento è migliore rispetto a quella osservata in precedenza o in altre popolazioni.
Questi risultati accettati acriticamente per molto tempo, si sono rivelati non del tutto giustificati agli occhi degli epidemiologi in quanto rappresentano si una condizione necessaria ma non sufficiente per un efficacia della diagnosi precoce in quanto la diagnosi precoce deve modificare la mortalità di un tumore e non aumentarne la sopravvivenza.
Se questo è vero per quelle neoplasie per le quali l’anticipazione diagnostica non comporta nessun beneficio in campo terapeutico è altrettanto vero che l’anticipazione diagnostica ha portato per molte neoplasie una riduzione dell’intervento chirurgico . Basti pensare agli interventi che si facevano sulla mammella qualche anno fa che ischeletrivano il torace della donna con conseguenze psicologiche gravissime alla attuale quadrantectomia con conservazione quasi totale del seno.
A questo punto , lasciando le polemiche agli epidemiologi , c’è da chiedersi se sono utili le campagne di sceening in campo oncologico.
Prima di rispondere a questa domanda bisogna chiarire cosa intendiamo per screening.
Lo screening come sappiamo è “un complesso di prestazioni che la struttura sanitaria pubblica offre attivamente ad una popolazione apparentemente sana con fini di prevenzione secondaria.”
Un programma di screening rappresenta quindi uno sforzo organico e pianificato della struttura sanitaria per arrivare alla diagnosi precoce della neoplasia, ma non si esaurisce nella fase di esecuzione e interpretazione del test diagnostico.
Parte integrante del programma sono gli accertamenti e le terapie sui soggetti risultati positivi al test di screening, il cui numero necessariamente aumenta in conseguenza delle attività di screening. Difatti non si può sottoporre a screening mammografico un certo numero di persone e poi per ulteriori accertamenti come per esempio la citologia o la biopsia farla vagare da un ospedale all’altro.
Inoltre bisogna disporre di un test diagnostico che non dia molti falsi negativi e molti falsi positivi, in quanto se un test da molti falsi negativi riduce notevolmente l’efficacia del programma, se da invece molti falsi positivi rende lo stesso irrealizzabile per le conseguenze negative in termini sia organizzativi sia economici sia psicologici sia di eventuali danni iatrogeni associati agli accertamenti inutili di secondo livello ( biopsie endoscopie ecc. ). Per questi motivi non si possono fare sceenig per tutti i tumori.
Quindi alla luce dei vari risultati ottenuti in campo mondiale la Lega contro i tumori in un documento ha espresso alcune raccomandazioni sulla problematica degli screening in campo oncologico che possono essere riassunti in questo modo:
1) Per il cancro della cervice uterina e per il cancro della mammella esiste una sufficiente evidenza di efficacia.
2) Per il cancro del polmone esiste evidenza sufficiente a dimostrare che, con i test diagnostici oggi disponibili non è possibile ridurre la mortalità specifica attraverso programmi di screening
3) Per il cancro colo-rettale non è oggi possibile valutare se programmi di screening mediante il test per il sangue occulto nelle feci siano in grado di modificare la mortalità
Le evidenze disponibili non sono molto incoraggianti soprattutto sul piano costi benefici per cui al momento non è opportuno avviare programmi di screening.
4) Per tutte le altre neoplasie ( incluso il cancro della prostata) l’insufficienza della storia naturale delle neoplasie, la mancanza di test di screening con caratteristiche adeguate e/o l’eccessiva rarità rendono al momento improponibile l’attivazione di programmi di screening.
A questo punto c’è da chiedersi che cosa fare per combattere efficacemente il tumore ?
Oggi disponiamo di conoscenze per considerare quali siano i fattori legati all’incidenza dei tumori e le direzioni da prendere per la prevenzione.
La strada che bisogna seguire è quella della Prevenzione Primaria attraverso due vie .
Una e quella che devono affrontare i governi , anche su sollecitazione dei cittadini, con leggi per ridurre l’inquinamento ambientale, e l’altra è quella di correggere e modificare il comportamento e lo stile di vita di ognuno di noi
E’ chiaro che molto c’è ancora da fare , basti pensare che delle circa 60 000 sostanze usate dall’industria solo 740 sono state testate per accertarne la cancerogenicità e di queste 39 sono risultate cancerogene e 64 probabilmente cancerogene.
Bisognerà intervenire sull’uso dell’abesto,dei fumi dei combustibili, sulle radiazioni elettromagnetiche, sulle polveri di legno, sul radon, silice, fibre minerali ecc..
Non bisogna comunque ipertrofizzare il problema con facili allarmismi, come avviene per i tumori professionali o l’uso dei pesticidi in agricoltura, dove la paura dei cittadini è molto superiore dei rischi reali.
Grossi risultati possono scaturire invece da un corretto stile di vita.
Basti pensare al fumo di sigaretta e all’alimentazione.
Il fumo di sigaretta ha portato il tumore polmonare al primo posto nei paesi industrializzati facendolo passare dal 3- 5 % della prima guerra mondiale al 10-20 % di oggi.
Con il suo 35% rappresenta la prima causa di morte per tumore nel sesso maschile e la terza nel sesso femminile. Si calcola che in Italia per questa neoplasia muoiano all’anno circa 32 000 di cui 28 000 maschi e 4000 femmine e che circa il 90 % erano fumatori.
Il fumo di sigaretta aumenta anche i tumori del cavo orale e faringe laringe esofago vescica pancreas rene e se lo associamo al danno dell’alcool e dell’inquinamento ambientale tutte le percentuali aumentano del 20 % .
Un settore da cui si attendono grandi risultati per i tumori dell’apparato digerente e rappresentato dall’alimentazione. per il quale è assodato il danno e il ruolo protettivo, tanto da poter dire in modo semplicistico che se coloro che mangiano poca frutta e verdura ne aumentassero il consumo , il loro rischio di cancro in diverse sedi ( in particolare colon stomaco) si dimezzerebbe.
Elevati consumi di frutta e verdura, infatti sono associati a rischi ridotti per la maggioranza dei tumori. In particolare, il consumo di frutta sembra ostacolare l’insorgenza di tumori del cavo-orale, della laringe, dell’esofago, dello stomaco e del colon, mentre le verdure esercitano un effetto più forte sul tumore al colon retto.
. La dieta comunque al contrario del fumo per il quale si conoscono con certezza quali sostanze sono cancerogena, il rischio in base alla durata e alla quantità, ha bisogno ancora di convalida, e questo si può facilmente capire in quanto quando parliamo di alimentazione ci riferiamo non solo ai numerosissimi prodotti che entrano nella dieta come fratta verdura grassi , carni farinacei ecc. ma anche a tutte quelle sostanze che vengono usate sia per la produzione sia per la preparazione sia per la conservazione degli alimenti.
Quindi l’esistenza di fattori a rischio e di protezione , nei confronti dei tumori, rappresentati da comportamento e stili di vita costituisce la premessa necessaria per ipotizzare interventi di prevenzione basati sull’educazione sanitaria.
Questa tecnica ,infatti, è uno degli strumenti della medicina preventiva ,ed è espressamente diretta a promuovere , modificare,o eliminare quei comportamenti individuali o collettivi capaci di influire variamente sulle condizioni sanitarie di singole persone e di popolazioni
Non è un problema semplice.
Infatti se gli esseri umani adattassero le proprie scelte di vita in base solo alla conoscenza dei rischi, non ci sarebbe nessuna difficoltà a protegge la comunità da qualsiasi rischio
Invece fino ad oggi la prevenzione ha attirato scarsi consensi sia a livello individuale che in ambito medico in considerazione del fatto che essa dipende in larga parte da misure non mediche ed ottenere dei finanziamenti per la prevenzione è molto difficile ,perché a differenza di altri provvedimenti non fa guadagnare grosse cifre non fa vendere farmaci non fa conquistare gloria non richiede abilità chirurgica ma è quella branca che salva parecchie vite umane ma che nessuno se ne accorgerà.
A livello individuale invece pur disponendo come ha detto in precedenza di sufficienti conoscenza per poter prevenire larga parte delle neoplasie tali conoscenze sono scarsamente utilizzate e ciò accade in quanto la prevenzione necessita non solo di informazioni ma soprattutto di un radicale cambiamento culturale.
Quindi molti sono i problemi da affrontare.
Il Primo è il più importante, trattandosi di educazione sanitaria, riguarda le modalità di trasmissione dei messaggi.
Classicamente si individuano metodi unidirezionali e bidirezionali.
Il metodo unidirezionale è quando un’emittente comunica un messaggio che arriva direttamente al destinatario. Questo metodo per la sua semplicità può essere realizzato sfruttando ampiamente i mezzi di comunicazione di massa ed ha il vantaggio di consentire la diffusione di messaggi omogenei e tecnicamente affidabili, elaborati da un’emittente collocata centralmente e messa in condizioni di attingere a fonti scientificamente ineccepibili, ma ha in se evidenti limitazioni. Il destinatario, infatti, rimane assolutamente passivo rispetto al messaggio, che rischia di perdersi all’interno delle enormi quantità di informazioni che in una società evoluta raggiungono quotidianamente i cittadini.
Il metodo bidirezionale tende a rendere il destinatario soggetto non passivo ma partecipa all’analisi ove possibile mediante uno scambio attivo con l’emittente. Questo metodo presenta una potenziale efficacia ben maggiore di quello unidirezionale poiché il coinvolgimento del destinatario può agire più intensamente sulle motivazioni e presenta le migliori aspettative di efficacia, soprattutto se avviato prima dell’instaurarsi di un comportamento sfavorevole. Il metodo bidirezionele, d’altra parte, comporta certamente un più diffuso e complesso sforzo organizzativo, poiché richiede, a differenza del precedente l’attivazione di molte emittenti per raggiungere un adeguato numero di destinatari. Questo fatto comporta a sua volta costi più elevati e soprattutto un vasto impegno organizzativo per la formazione delle emittenti , sia dal punto di vista dei contenuti che delle metodologie, nonché per il loro coordinamento.
Le difficoltà e i limiti dei due metodi hanno recentemente indotto ad elaborare e sperimentare interventi che integrano le due metodologie secondo uno schema misto di tipo triangolare .
Questo approccio richiede l’esistenza di una emittente centrale con buon accesso alle fonti di informazione più aggiornate e affidabili che elabora e indirizza il messaggio secondo il metodo unidirezionale ma che opera in un programmato coordinamento con emittenti periferiche , anch’esse impegnate nella trasmissione di un messaggio coordinato utilizzando il metodo bidirezionale.
Questa combinazione accomuna i vantaggi di entrambe le metodiche prestandosi al più attivo coinvolgimento possibile dei destinatari senza trascurare la potenzialità di omogeinizzazione e coerenza dei contenuti e di maggiore efficienza operativa propria del metodo unidirezionale centralizzato. I limiti sono rappresentati dal costo e soprattutto dalla grande difficoltà organizzativa; non è infatti pensabile un progetto così articolato e complesso se tutte le componenti interessate non vengono attivate in modo profondamente coordinato e integrato.
Ciò presuppone l’esistenza di una autorità in grado di elaborare, attivare e controllare l’intero processo, la cui collocazione dovrebbe coincidere con quella dell’emittente centrale.
Quindi c’è da chiedersi.
Considerate le difficoltà evidenti, è opportuno pensare ad interventi di educazione sanitaria per la prevenzione dei tumori?
La risposta è si in quanto la strada della modificazione dei comportamenti a rischio non ha alternative per la riduzione dell’incidenza di tumori ad essi correlati, e perché un successo anche parziale comporterà, se le nostre conoscenze di epidemiologia non sono completamente errate, comunque la riduzione di un certo numero di casi di tumore.
I costi dell’educazione sanitaria inoltre, anche se elevati, saranno comunque sempre sensibilmente più ridotti del costo delle cure che i malati chiederanno e otterranno senza per lo più ottenere la guarigione.
Un altro quesito al quale bisogna rispondere è:
Chi deve promuovere e finanziare questo tipo di interventi?
Per assicurare globalità, sistematicità e adeguata diffusione di una iniziativa che deve avere tempi lunghi, il momento centrale non può che coincidere con gli organi di programmazione del Servizio Sanitario Nazionale, a livello statale e soprattutto Regionale.
E’ nostra convinzione però che Stato e Regione debbano oggi in questo campo, e forse non solo in questo, adottare una strategia più attenta al coinvolgimento dei diversi soggetti sociali, sia per la programmazione che per la realizzazione e il finanziamento del programma.
Se esaminiamo proprio il campo della comunicazione e dell’educazione sanitaria in materia oncologica, emerge con assoluta evidenza la dinamicità e la capacità di acquisire risorse dalle associazioni.
Questo fatto, in se positivo ha fino ad oggi comportato il frazionamento delle iniziative con conseguente perdita di efficacia, talvolta determinando addirittura un paradosso per cui Regioni e Aziende Sanitarie Locali da una parte, Associazione dall’altra hanno utilizzato in modo quasi concorrenziale le poche risorse esistenti per inviare un messaggio praticamente uguale agli stessi destinatari.
La crisi economica della sanità impone oggi di affrontare questi temi con una creatività nuova.
Ad esempio tramite un progetto obiettivo di valenza regionale che idealmente dovrebbe essere a sua volta parte di un più ampio progetto di prevenzione che preveda almeno :
1) l’individuazione degli obiettivi cognitivi, comportamentali e sanitari
2) un momento di consenso scientifico
3) la definizione di un budget regionale
4) l’individuazione delle metodologie e dei tempi di azione, con ricorso a metodi triangolari
5) l’apertura del progetto a tutti i soggetti in grado di contribuire recando risorse scientifiche ed
economiche.
6) il vincolo di prosecuzione nel tempo delle iniziative.
Una iniziativa di questo genere, oltre alle intrinseche difficoltà, presenta dei limiti che è opportuno chiarire.
Essa infatti, anche in caso di pieno successo, potrebbe ridurre solo alcuni dei principali fattori di rischio, e conseguentemente deve essere iscritta, almeno in teoria ,all’interno di un programma di prevenzione più ampio.
In conclusione ci sembra possibile affermare che , pur con considerevoli difficoltà e limiti, l’educazione sanitaria per la prevenzione dei tumori costituisca, almeno potenzialmente, un intervento di Sanità Pubblica importante e vantaggioso.
Da ciò l’auspicio che lo Stato, la Regione e le Aziende Sanitarie Locali della Puglia vi dedichino, una crescente attenzione e un impegno adeguato alla dimensione e alla rilevanza della patologia cui si rivolge