Il BISOGNO DI UN NUOVO RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE.
Oggi grazie ai progressi della medicina molti hanno la possibilità di guarire dal cancro e molti altri di vivere a lungo.
Ciò comporta la presenza sul nostro territorio di un numero elevatissimo di persone affette da questa malattia che convivono giornalmente non solo con i problemi fisici, ma anche quelli psicologici e sociali sia in ambito familiare, lavorativo e relazionale.
In questa società, dove tutto sembra muoversi all’insegna del tecnicismo e dell’efficienza secondo modelli matematici, la medicina moderna e in particolare l’oncologica pur conoscendo i bisogni psicologici degli ammalati tumorali in ambito familiare, lavorativo, sessuale e relazionale, si dimostra piuttosto lenta a comprenderli e a trattarli, legata com’è ad una concezione meccanicistica e dualistica dei rapporti tra mente e corpo, trattando il malato solamente con una medicina fortemente tecnicizzata.
Ciò evidentemente non è sufficiente per raggiungere il completo benessere della persona , per il quale occorre “ non solo la mancanza di malattia o infermità ma anche uno stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale” come vuole l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Tutto ciò acuisce il disagio, mai riscontrato in precedenza, per il quale si possono imputare molteplici fattori, come la burocraticizzazione del medico che ha necessità di produrre, la sempre più spinta efficienza specialistica, il perfezionamento tanto più prestigioso quanto più oneroso, sottovalutando le difficili relazioni e la depersonalizzazione del rapporto medico-paziente, causa principale della disumanizzazione degli ospedali tristemente nota a chi si avvicina alle strutture sanitarie.
Oggi assistiamo ad un paradosso in quanto la struttura sanitaria, nata per aiutare chi soffre e farlo sentire in un luogo protetto rispettato come persona, non solo non sa dare queste risposte, ma produce essa stessa comportamenti impersonali ed atti burocratici che tendono a spersonalizzare e disorientare ulteriormente i pazienti.
Ciò avviene fin dall’ingresso in Ospedale, quando il malato sperimenta la mancanza di informazioni di orientamento e deve sopportare l’insicurezza per l’assenza di qualcuno che stabilisca con lui un rapporto significativo.
L’accoglienza in ospedale è un atto molto importante, che condiziona tutto il periodo di degenza o gli ulteriori ingressi, periodi che sono regolati dal rapporto medico-paziente.
Per migliorare questo rapporto il medico deve capire che nell’espletamento della professione non cura la malattia ma il malato, che oggi ha un’assoluta centralità, tutelata dalle leggi, che si evidenzia in modo fattivo nella partecipazione al consenso informato del proprio iter diagnostico e terapeutico, consenso che non può e non deve esaurirsi come un atto burocratico dovuto, con un semplice passaggio di informazioni da parte del medico, ma necessita di un più ampio spazio comunicazionale,in quanto è un momento molto delicato per la vita del paziente che può essere sconvolta, specialmente quando si ha a che fare con malattie gravissime come il cancro, che ancora oggi evoca dolore,sofferenza e paura.
Ma anche il paziente non deve sottovalutare l’autorevolezza del medico, della quale ha bisogno e alla quale si può aggrappare per essere guidato nelle decisioni e nei momenti difficili, stabilendo una cosiddetta un’alleanza terapeutica.
Purtroppo in Italia alla relazione medico-paziente, non viene dedicata alcuna specifica materia d’insegnamento, mentre in altri Paesi, sono dedicati corsi pluriennali fin dal primo anno. Ciò fa capire la grande importanza che viene data a quest’aspetto della medicina.
Si pensa che bastino le capacità personali o imitative per condurre a buon fine tale rapporto, non tenendo assolutamente conto dell’ampia gamma di problemi dei quali è intessuto.
Fondamento del rapporto medico paziente è la comunicazione, nei suoi aspetti verbali e non verbali, emozionali e comportamentali, ed è stato dimostrato che se insegnata, aumenta significativamente l’efficacia diagnostica e terapeutica dell’azione medica.
Il disagio che si avverte nella sanità ,ovviamente, non interessa solamente il paziente e i familiari ma anche chi gli operatori sanitari, che giornalmente devono lottare non solo con una malattia che a lungo termine provoca più danni psicologici che fisici ma anche con le istituzioni e la burocrazia.
Difatti studi recenti hanno dimostrato che un certo numero di operatori oncologici, sia medici che infermieri, presentano livelli elevati di sofferenza psicologica, suscettibili di interventi terapeutici.
Quindi possiamo affermare che una delle priorità che ha la nostra società è quella dell’umanizzazione della tecnica e in particolare della medicina, che deve guardare non solo al miglioramento tecnologico ma anche al rispetto dell’uomo malato.
Per raggiungere questo obiettivo molto ambizioso bisogna intervenire su vari fronti . L’oncologia deve inserire nelle proprie competenze gli aspetti psico-sociali del malato e seguire il malato in modo continuativo e globale tale da poter essere definita a ragione medicina di accompagnamento.
La politica deve fare la sua parte con una corretta politica sanitaria e non politica nella sanità, programmando e controllando gli interventi sanitari non con una logica clientelare ma meritocratica, ed infine, i pazienti devono ritornare a rispettare chi lavora come operatore sanitario, riconoscendo a questo ruolo anche la caratteristica di “lavoro usurante”.
Dr. Salvatore Mazzotta, Oncologo