LE DIVERGENZE SI RISOLVONO PRIMA DI PARLARE CON IL PAZIENTE
La storia
Il paziente, un uomo di 35 anni, si presenta per un’adenopatia latero-cervicale sinistra del diametro di 2 cm, fissa, in progressione. L’esame istologico evidenzia un linfoma di Hodgkin, varietà cellularità mista di stadio al IV B, con localizzazioni linfomatose sopra- e sotto-diaframmatiche e ossea al collo femorale destro, confermate anche alla PET-CT. Sono programmate varie consulenze, tra le quali quella ortopedica, per la localizzazione al collo femorale destro (il caso non è per il momento ritenuto di pertinenza chirurgica) e quella radioterapica; il collega ritiene indicata radioterapia (RT) a scopo palliativo-antalgico, con programma che prevede 50 gY/25 sedute. Nello stesso tempo, si programma la chemioterapia secondo lo schema ABVD. Il paziente è chiamato per iniziare la RT ma l’oncologo evidenzia l’inappropriatezza della RT, dato il dolore modesto, il basso rischio di frattura e tenendo conto dell’opportunità di iniziare la chemioterapia, che ha l’obiettivo di portare a remissione la patologia linfomatosa e che potrebbe anche far regredire la localizzazione ossea.
Il paziente nota la discordanza di opinioni e interpella il Tribunale dei Diritti del Malato (TDM) il quale dà ragione all’oncologo medico. Viene comunque eseguita anche la RT a scopo antalgico, con 5 Gy in 5 frazioni, prima della CT. Il trattamento chemio antiblastico è condotto a termine con remissione clinica completa alla PET-CT.
Il paziente è in remissione completa dopo 5 anni. Nel caso di RT con 50 frazioni si sarebbero riscontrati una leucopenia radio-indotta, ritardi nella chemioterapia, scarso controllo della malattia a livello sistemico (e, quindi, progressione della patologia linfomatosa per chemioterapia inadeguata nelle dosi e nella cadenza), comparsa di altre localizzazioni linfomatose.
In generale
In ogni SOC di oncologia, ci “devono” essere Gruppi di Lavoro ben organizzati. Soprattutto, è necessario discutere il caso riunioni collegiali e, poi, presentare al paziente un iter terapeutico condiviso; le eventuali diversità di vedute devono essere risolte all’interno del Gruppo di Lavoro. Il paziente deve avere la sensazione che la proposta terapeutica sia la migliore possibile: metterlo di fronte alle diverse opinioni è solo per lui motivo di angoscia e di future azioni legali. Ovviamente nulla gli vieta di chiedere un secondo parere ad altra istituzione qualificata.
Alberto Desogus e Alberto Rosa Bian
ONCONEWS ANNO XIX N° 2