FASCICOLO SANITARIO ELETTRONICO
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) e gli italiani: un rapporto da costruire
Il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) è la raccolta on line di dati e informazioni sanitarie che costituiscono la storia clinica e di salute di una persona. I documenti che lo popolano sono quelli prodotti dalle strutture pubbliche del Servizio sanitario regionale e, progressivamente, dalle strutture private accreditate.
Nel marzo 2014 sono state varate le “Linee guida” per la presentazione dei piani di progetto regionali per la realizzazione del Fascicolo Sanitario Elettronico» e a fine giugno dello stesso anno le Regioni hanno presentato i piani di implementazione del Fascicolo. Entro il 31 dicembre di quest’anno le Regioni dovranno istituire i propri FSE e intanto, il 3 settembre scorso, il Ministro della Salute ha varato il decreto per l’attuazione del FSE a livello nazionale, per mettere in Rete i vari FSE regionali che saranno stati nel frattempo presentati.
L’introduzione del FSE si preannuncia come una piccola-grande rivoluzione in grado di “fornire ai medici, e più in generale ai clinici, una visione globale e unificata dello stato di salute dei singoli cittadini, e rappresenta il punto di aggregazione e di condivisione delle informazioni e dei documenti clinici, generati dai vari attori del Sistema Sanitario”.
Se questo è vero, è giusto domandarsi cosa sanno i cittadini, di questa rivoluzione digitale, così importante. La risposta arriva da un’indagine demoscopica effettuata dall’Osservatorio Innovazione Digitale in Sanità, in collaborazione con Doxa che ha messo in evidenza come l’83% della popolazione non ha mai sentito parlare di Fse, l’88% non sa se è attivo nella propria Regione e il 95% non ha mai cercato informazioni a riguardo.
Fonte B Ferrraro FNOMCeO
C’è da chiedersi se questi dispositivi elettronici, e il computer in particolare
che hanno molto semplificato e reso efficiente la quotidianità del medico ed in particolare dell’oncologo possono anche rappresentare un ostacolo, ed essere percepiti, dai malati, come presenze intrusive, mezzi estranei che contribuiscono ad accentuare quella distanza che si vorrebbe ridurre, nel rapporto medico-paziente.
Per evitare che il pc diventi un limite, secondo gli autori dello studio pubblicato sul Journal of Oncology Practice, bisogna innanzitutto tenere presente un criterio: evitare a ogni costo che il malato si senta, a causa del pc, ignorato o sottovalutato.
L’adozione di semplici regole, secondo gli autori, potrebbe aiutare medici e pazienti ad avere incontri più chiari e semplici. Anche perché, come hanno scritto, il mondo digitale è qui. Ed è qui per restare.
Fonte: LeBlanc TW et al. Electronic Health Records (EHRs) in the Oncology Clinic: How Clinician Interaction With EHRs Can Improve Communication With the Patient
Parlare con i pazienti riduce i ricoveri e migliora le cure del 40%. Ma solo 1 su 5 è un medico “amico” empatia
Le parole del medico curano come i farmaci: un rapporto empatico con il paziente riduce di quattro volte il rischio di ricoveri e aumenta del 34-40% la probabilità di tenere sotto controllo ipercolesterolemia, diabete, e rischio cardiovascolare, riducendo il pericolo di complicanze e perfino lo stress generato dagli esami clinici. Ma pochi camici bianchi ascoltano davvero i bisogni dei malati: solo il 22% instaura un rapporto empatico con gli assistiti, che per due terzi del colloquio tiene gli occhi incollati al pc. Questi i dati elaborati dalla Società Italiana di Medicina Interna (Simi) e presentati in occasione del 116° Congresso nazionale in corso a Roma fino al 12 ottobre ultimo scorso.
Per gli internisti il “feeling” con i pazienti migliora l’efficacia delle cure e fa bene anche al medico per questo hanno proposto di inserire nel corso di laurea in medicina e chirurgia un modulo di scienze umane, da seguire durante i sei anni di studio attraverso seminari e didattica teorico-pratica dedicata.
“Pochi pazienti – osserva Gino Roberto Corazza, presidente Simi – vedono appagato il loro desiderio di dialogo col medico, che spesso è troppo frettoloso. Ascoltare le ragioni e le emozioni del paziente è invece il punto di partenza fondamentale per avere una visione più ampia e circostanziata della patologia e porre una miglior diagnosi, per prescrivere esami e terapie più adeguate che poi saranno seguite con maggior convinzione e attenzione.
Ognuno di noi ha bisogno di sentirsi accolto nella sua esperienza di malattia, sapere che il medico ‘ci capisce’ innesca meccanismi che favoriscono l’aderenza alla terapia e perfino il miglioramento di parametri biologici”. Purtroppo la nostra medicina iper-tecnologica sembra allontanare da un rapporto empatico medico-paziente, portandoci verso una de-umanizzazione delle cure.
L’empatia però non è una semplice “emozione”, ma un evento cognitivo che può e deve essere insegnato e acquisito. Questo potrà insegnare ai futuri medici non solo il tecnicismo e la speializzazione ma anche come ascoltare i malati e recepire i loro segnali di disagio emotivo, per migliorare il rapporto medico-paziente a tutto vantaggio di entrambi”.
Fonte : Quotidianosanità.it